Intervista esclusiva di Antonello Sette a Mariano Bizzarri, docente di Patologia Clinica all’Università La Sapienza di Roma
I dati sono allarmanti. 376.600 casi di tumore nel 2020. 390.700 nel 2022. Più 14.100 in soli due anni. È caccia al colpevole o ai colpevoli, ammesso che esistano. Mariano Bizzarri, che insegna Patologia Clinica all’Università La Sapienza di Roma, è da sempre riconosciuto come uno scienziato senza pregiudizi accademici…
“I dati confermano un trend che osserviamo dai primi anni del Duemila. Diminuiscono, questo sì, i tumori del polmone, grazie soprattutto a una riduzione del tabagismo, ma nel contempo si registra un incremento consistente e progressivo di numerosi altri tumori come quelli, solo per fare gli esempi più eclatanti, al colon e al pancreas, che nel corso degli ultimi due, tre anni, in corrispondenza quindi della pandemia, hanno subito un’ulteriore accelerazione. Quello evocato dai dati è un aumento reale, perché non si tratta solo dell’individuazione di tumori, che non erano stati accertati durante la pandemia, a causa del ritardo e molto spesso di un vero blocco delle pratiche diagnostiche, o di tumori pregressi, che non erano stati scoperti tempestivamente per colpa delle struttura o delle persone che avevano omesso di effettuare i controlli. Questo aumento dei casi di tumore in Italia è reale e affonda le sue radici nel passato, perché se io vedo un tumore oggi, vuol dire che si è generato tre, cinque od otto anni fa, a seconda della tipologia. Questo ci dimostra che c’è qualcosa nell’ambiente, negli stili di vita e nell’alimentazione, che nel corso degli ultimi anni è peggiorata. È, però, anche probabile che le condizioni particolari di stress, la compromissione del sistema immunitario e altri fattori che devono essere indagati, tutti concentrati negli ultimi due e tre
anni, spieghino l’accelerazione inusitata che stiamo rilevando. Stiamo parlando di un aumento dei casi, che è quantificabile fra il 10 e il 15 per cento.
Professore, di fronte a questa ecatombe che cosa non funziona?
“Non abbiamo ancora identificato i target fondamentali della prevenzione. Dobbiamo rimettere in discussione il modello alimentare, che si è purtroppo spostato verso il cibo spazzatura. Dobbiamo tornare a identificare, come causa portante, l’inquinamento ambientale, che non ha nulla a che spartire con il riscaldamento globale, di cui parlano tutti. Quasi nessuno denuncia, invece, a chiare lettere, il danno causato dalla presenza nell’aria di alcune sostanze, chiamate distruttori endocrini, che stanno avvelenando soprattutto le nuove generazioni. È stato appurato che questi fattori incidono negativamente, soprattutto, nei primissimi giorni , o addirittura quando il bambino è ancora dentro la pancia della mamma. È all’albore della vita che si creano i presupposti per un cancro destinato alle generazioni future”.
C’è anche un passo falso imputabile alla scienza medica?
“Dobbiamo prendere atto che il modello, su cui si è basato il trattamento dei tumori, non ha dato i risultati sperati. Guariamo sempre e soltanto circa il 50 per cento delle persone colpite. Bisogna imboccare strade diverse e adottare una nuova strategia. Per farlo, occorre considerare il tumore come una malattia dal sistema complesso”.
Lei ha parlato della necessità di rimuovere le cause, che sono a monte della proliferazione dei tumori. C’è qualcosa che, nel frattempo, si può fare per intervenire in tempo utile?
“Dobbiamo riprendere i programmi di screening mirati su quei pochi tipi di tumore, per i quali sono fondamentali. Le faccio un esempio. Non stiamo più insistendo, come dovremmo, sulla necessità che le donne eseguano regolarmente il pap test, che è lo strumento salvavita, che consente di individuare nella sua fase iniziale il tumore dell’utero, incurabile solo se affrontato in una fase tardiva. Purtroppo, come risulta da un recentissimo report, la percentuale di donne, che effettuano il pap test, anziché aumentare, è andata progressivamente diminuendo”.
In ultima analisi quale futuro ci aspetta? Quale è, se esiste, la strada maestra? “Voglio usare una metafora calcistica. Se io provo per mezz’ora far gol sfondando al centro della difesa avversaria e non ci riesco, non sarà il caso di cambiare strategia e di cercare di aggirarla dalle ali? E’ proprio quello che accade con il cancro. Abbiamo utilizzato un paradigma, pensando che fosse fondamentale individuare i geni, ritenuti responsabili del cancro e distruggerli. Questa strategia non ha dato risultati efficaci, se non in gruppi selezionati e ristretti di pazienti. Occorre riconsiderare il tumore come una malattia complessa, che coinvolge più sistemi, e puntare, più che alla distruzione fisica del cancro, a una riprogrammazione delle cellule tumorali. È più che una speranza. Grazie ad alcuni studi pioneristici, siamo già in grado di favorire una riconversione delle cellule tumorali in cellule normali”.