Intervista esclusiva di Antonello Sette ad Andrea Campana, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria Multispecialistica presso la sede di Palidoro del Bambin Gesù
Dottor Campana, lei è un medico di frontiera, che dedica ogni giorno la vita ai bambini meno fortunati. E’ a capo di un reparto all’interno di un presidio di fondamentale importanza, che accoglie un esercito di piccoli pazienti provenienti da tutta Italia…
“L’Unità Operativa di Pediatria Multispecialistica del Bambin Gesù di Palidoro, di cui sono responsabile, è il frutto di una grande intuizione della Direzione Sanitaria, che dieci anni fa ha pensato di riprodurre in una zona in grande espansione urbanistica, quale è quella che circonda Palidoro a seguito di una migrazione via via crescente dalla città di Roma alle coste laziali, un reparto che oltre ad essere un punto di riferimento per il territorio limitrofo, insieme alle altre Unità Operative presenti sulla sede, diventasse anche punto di riferimento per tante patologie complesse, che purtroppo non trovano risposte adeguate nelle altre parti d’Italia. Mi riferisco a bambini ad alta complessità assistenziale, che richiedono un’assistenza integrata, multidisciplinare, di grandissima specializzazione e particolarmente delicata. Sono i bambini, che per varie patologie, metaboliche, genetiche o, come più frequentemente accade, dovute a sofferenze perinatali, presentano, sin dai primi mesi della loro vita, gravi situazioni di compromissione multiorganica, con tutta una serie di complicazioni, a livello di alimentazione, gastrointestinali, metaboliche, ortopediche, neurologiche, respiratorie, che si manifestano in modo crescente con il passare dei mesi e richiedono un’altissima competenza professionale specialistica, che purtroppo non è inculcata ai pediatri al momento della loro formazione. Parlo dei bambini a elevata complessità, affetti da una malattia cronica. La pediatria del 2023 non è più quella della prima parte del Novecento, quando i bambini morivano, soprattutto, per patologie infettive, quali il morbillo, che provocava migliaia di vittime ancora subito dopo la seconda guerra mondiale. Nel corso degli anni, si è passati dalle calamità delle patologie infettive a quelle croniche e progressive. L’affinamento delle cure, a partire dalle capacità diagnostiche, ha permesso di far vivere bambini, che prima non sarebbero mai sopravvissuti. Siamo arrivati a farci carico di patologie ad alta e altissima complessità gestionale per i medici e gli infermieri e devastanti, a livello di gestione quotidiana da parte delle famiglie. A Palidoro si è via via concentrato un’équipe di esperti, che è cresciuta con i pazienti, sino ad arrivare a poterli assistere ventiquattro ore su ventiquattro, a 360 gradi”.
Quali sono i risultati più significativi che avete raggiunto?
“I risultati sono ottimi. Il Bambin Gesù di Palidoro è il terzo ospedale pediatrico d’Italia in termine di accessi, a riprova della strategia vincente. Dove c’è attrazione, ci sono evidentemente a monte le risposte giuste ai bisogni della popolazione. Naturalmente, più che il numero degli accessi, è importante il grado di soddisfazione che registriamo al momento delle dimissioni. Il nostro impegno è stato quello di creare dei percorsi adeguati per i bambini affetti da una problematica acuta, che necessitano di un ricovero ordinario, la cui durata cerchiamo di ridurre il più possibile, rinviandoli poi sul territorio al proprio Pediatra o deviandoli, quando le loro condizioni ce lo consentono, verso strutture di day hospital ed ambulatoriali, in grado di monitorare nel corso del tempo l’evolversi della situazione. Il coinvolgimento di queste strutture e dei pediatri di famiglia è fondamentale”.
Quanti bambini assistete?
“I ricoveri ordinari sono all’incirca mille e cinquecento all’anno. Questo numero si riferisce ai soli degenti di pediatria propriamente detta. Quelli curati a livello di day hospital sono sostanzialmente altrettanti. Il quindici per cento di loro sono bambini ad altissima complessità assistenziale. Bambini che non riescono ad alimentarsi per via orale e che, dopo un periodo di ricorso a un sondino , devono essere muniti di un tubicino, posto all’interno dello stomaco, che consente loro un’alimentazione enterale. Tutto quello che serve per farli crescere, proteine, lipidi e glucidi, arriva direttamente al loro stomaco. Crescendo, questi bambini tendono a sviluppare tutta una serie di problematiche a livello ortopedico, quali la scoliosi e l’osteoporosi conseguente a una carenza degli alimenti assunti. Il nostro compito è cercare di trovare la migliore soluzione possibile, attraverso interventi di ortopedia anche estremamente complessi. Molti di questi bambini presentano, sia per la scoliosi che per le problematiche di base, quadri clinici di insufficienza respiratoria, che possono a lungo andare comportare addirittura la necessità di una tracheotomia e dell’introduzione di un tubicino che possa farli respirare”.
Che cosa accade ai bambini, quando scavallano l’età pediatrica?
“Proprio in questi momenti ho ricoverato tre ragazzi di 28 anni. Sono ex pazienti bambini, che purtroppo non hanno nessuna altra possibilità di un’assistenza adeguata. Paliamo sempre di bambini, ma in realtà al Bambin Gesù ricoveriamo anche giovani uomini di venti e persino trenta anni. Il problema grave e purtroppo irrisolto è che manca quasi completamente un’adeguata fase di transizione e chi ha la nostra capacità assistenziale deve necessariamente farsi carico delle necessità anche dei fuori età e di quelle connesse dei loro genitori, nel frattempo diventati anziani e oltremodo provati da una vita estremamente faticosa, tutta dedicata ai loro figli”.
La sofferenza dei bambini è quella che noi adulti meno riusciamo ad accettare. Voi come fate a sopportare gli eccessi quotidiani di dolore?
“Quelle meno accettabili sono le emergenze non preventivate. Purtroppo i bambini apparentemente sani muoiono anche nel 2023. Sono situazioni fortunatamente rarissime che, le assicuro, è terribilmente difficile accettare ed elaborare. Quanto ai bambini affetti da patologie croniche, quello che accade è davvero incredibile. Pensi che negli ultimi sei mesi sono venuti a mancare sei bambini, che noi avevamo seguito praticamente dalla nascita. Erano ormai adolescenti e avevamo via via smarrito tutte le loro capacità vitali. Anche i loro genitori erano allo stremo. Alcuni di loro hanno deciso di venire a finire il loro percorso su questa Terra qui da noi, perché i loro genitori consideravano la nostra équipe medico-infermieristica una famiglia. Ci hanno detto che questo doloroso passaggio riuscivano a concepirlo solo all’interno della loro insostituibile seconda famiglia. Dobbiamo accettare, di volta in volta, anche il fallimento, perché questi bambini non sono in grado di guarire. Possiamo solo aiutarli a vivere una vita che purtroppo non hanno scelto loro, più a lungo e nel modo più agevole che sia possibile, anche quando, ahimè, sta inesorabilmente per spegnersi”.