Intervista esclusiva di Antonello Sette a Gabriele Sani, primario del reparto di Psichiatria Clinica e d’Urgenza del Policlinico Gemelli di Roma
Professor Sani, la depressione e i disturbi bipolari sono due realtà sempre più diffuse e allarmanti, anche da un punto di vista prettamente sociale. Che differenza c’è fra l’una e l’altra sindrome?
“La depressione e il bipolarismo rientrano nella categoria dei disturbi dell’umore. Restando al mero nome di questo ambito patologico, si potrebbe pensare che per disturbo dell’umore si intenda un’alterazione psichiatrica, nella quale sia centrale la nostra possibilità di essere allegri o tristi, felici o disperati. Credo che sia una convinzione solo parzialmente vera e, quindi, confusiva. Se è vero che la depressione e i disturbi bipolari hanno una componente umorale all’interno delle loro manifestazioni psicopatologiche, dalla felicità eccessiva e dall’ipertrofia dell’ego alla tristezza eccessiva e durevole nel tempo, pur in assenza di una ragione scatenante, è altrettanto vero che non sono solo questo e, forse, oserei dire, neppure preponderanti”.
Porre al centro della depressione e dei disturbi bipolari solo le alterazioni umorali ha una rilevanza pratica, che esula dalla pignoleria accademica?
“Non è solo accademia. Allargare l’approccio a queste tipologie di disturbi può anticipare il tempo della diagnosi e renderla più circostanziata e precisa, aiutando conseguentemente le persone nel loro percorso di cura e, quando è possibile, di guarigione. Credo che per perseguire in modo ottimale l’obiettivo del benessere del paziente, non ci si debba concentrare solo sulle alterazioni dell’umore”.
Quali sono gli altri sintomi, su cui gli psichiatri dovrebbero soffermarsi?
“Ci sono innanzitutto i sintomi fisici: l’astenia, la difficoltà di concentrarsi e di prendere le decisioni, i dolori critici, più o meno rilevanti, che sono parte integranti di un quadro clinico, che abbiamo drammaticamente riscoperto nella sua complessità durante e dopo il Covid. Tutte le depressioni, che sono state specificatamente conseguenza del Covid, hanno una componente fisica d’immediata rilevanza, smentendo nei fatti chi aveva sempre pensato che per essere depresso uno debba essere triste e per essere eccitato, eccessivamente allegro. Tralasciare la componente somatica può impedire diagnosi adeguate e indurre a curare la persona per un vissuto che non è sino in fondo il suo”.
La sottovalutazione della complessità dei sintomi e la presa in considerazione solo delle disfunzioni umorali è un problema che si trascina da sempre?
“Assolutamente no, ed è anche per questo che insisto sulla necessità di un approccio unitario, che non è un salto nel buio ma, ed è questo il paradosso, solo un ritorno al passato. Da Ippocrate in poi, non c’era mai stata una distinzione. Ci troviamo, quindi, al cospetto di un’unicità che si perde nella notte dei tempi, sempre più minata e messa in discussione dai moderni modelli diagnostici. Nel DSM-5, che non sarà un testo sacro, ma è sicuramente il nostro manuale diagnostico di riferimento, alla depressione e ai disturbi bipolari sono dedicati due capitoli separati, lasciando così intendere che si tratti di due patologie ben distinte. Il che va contro non solo quello che sto cercando di dimostrare, ma anche contro secoli di letteratura psichiatrica. I disturbi dell’umore sono, e va ribadito a chiare lettere, invece, unitari. Le depressioni, a cui siamo quotidianamente più abituati, sono caratterizzate da apatia, abulia, abbassamento del tono dell’umore, astenia e allergie. I disturbi bipolari sono riconoscibili, dal canto loro, dall’alternanza di fasi depressive e di altre, cosiddette contropolari, che rappresentano l’esatto opposto della depressione: aumento dell’energia, della fiducia in sé stessi, della prodigalità e della gestualità. C’è, al contrario della depressione propriamente detta, un’alternanza, più o meno regolare, di fasi fra loro antagoniste”.
Una volta effettuata una diagnosi il più possibile corretta, quali sono le opzioni attualmente disponibili per la cura di chi soffre di depressione e di disturbi bipolari?
“La diagnosi è la premessa dell’intervento terapeutico, che può essere farmacologico o psicoterapeutico. I farmaci utilizzabili sono gli antidepressivi e, per i disturbi bipolari, gli stabilizzatori del tono dell’umore. Gli interventi di psicoterapia sono, dal canto loro, mirati all’uscita dallo status di sofferenza e alla stabilizzazione del quadro psicopatologico”.
Quali sono le maggiori criticità dell’attuale visione separata di depressione e disturbo bipolare?
“Secondo me, è una distinzione non solo concettualmente sbagliata, ma anche dannosa. Mi spiego con un esempio concreto. Se io curo le depressioni con gli antidepressivi, riesco a far star meglio il paziente, ma, se utilizzo la stessa tipologia di farmaco per un disturbo bipolare, non farò altro che accentuare le oscillazioni dell’umore da una fase all’altra, impedendo in questo modo la stabilizzazione a lungo termine del suo stato. Se, invece, il mio approccio è unitario, senza differenziazioni pregiudiziali e se non mi focalizzo sull’una o sull’altra patologia, o sulla distinzione fra sintomi psichici e fisici, se guardo alla persona prima che al paziente, posso predisporre un trattamento più efficace, soprattutto nel medio e lungo periodo”.
I disturbi dell’umore sono ereditari?
“La componente ereditaria esiste ed è consistente. Noi constatiamo, soprattutto nei disturbi bipolari, una familiarità di partenza, che sfiora il cinquanta per cento. Quando parliamo di familiarità, non dobbiamo automaticamente pensare a un genitore depresso o bipolare e ad un figlio affetto da un’identica patologia. Quello che si eredita è una predisposizione e un fattore di rischio. A tutt’oggi non siamo in grado di individuare i geni per la depressione e il disturbo bipolare”.
Per quanto riguarda l’efficacia dei farmaci, si sono fatti dei progressi significativi?
“Il Novecento è stato il secolo delle maggiori innovazioni di sempre in ambito psichiatrico, con la nascita degli antidepressivi e degli antipsicotici e la scoperta degli stabilizzatori dell’umore, dal litio, nel 1949, in poi. Le ricerche, che si sono susseguite ininterrottamente, hanno portato in questo avvio del terzo millennio a un continuo miglioramento dei farmaci a nostra disposizione, che hanno raggiunto una sempre maggiore efficacia e visto progressivamente diminuire l’incidenza degli effetti collaterali. La ricerca si è indirizzata verso la dimensione delle neuroscienze allargate e sono in fase di sviluppo nuovi potenziali farmaci, con un target diverso rispetto a quelli classici, mirato a un network cerebrale che tiene conto unitariamente dell’insieme. Le aspettative, che si stanno prospettando, sono alte e interessanti”.
Quanto è importante la tempestività della diagnosi?
“Una diagnosi precoce è fondamentale. Prima agiamo e prima possiamo curare. O, per meglio dire, possiamo prevenire perché, al di là dei fattori di rischio genetici, assumono grande rilievo quelli ambientali, che sono per loro intrinseca natura modificabili. Penso all’assunzione di droghe, comprese quelle considerate senza alcuna base scientifica leggere, all’alcol, a stili di vita totalmente disordinati, con ad esempio la distruzione dei normali ritmi fra la veglia e il sonno. Sono tutti influssi ambientali che, sommati alla predisposizione familiare, possono determinare un quadro patologico allarmante e di complicata regressione”.