Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Jacopo Galli, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Otorinolaringoiatria della Fondazione Policlinico Gemelli – Università del Sacro Cuore

Professor Galli, le deficienze uditive rappresentano un handicap con pesanti ripercussioni sociali?

“Assolutamente sì. Basti pensare che sette milioni di italiani, ovvero il dodici per cento dell’intera popolazione, soffrono di problemi all’udito. Il trenta per cento di loro ha più di settant’ anni. Peraltro, l’ipoacusia è un sintomo comune a molte patologie ed è questo il motivo per cui non sempre si riesce ad arrivare a una diagnosi tempestiva. Molte volte patologie anche gravi vengono trascurate, compromettendo la possibilità di risolvere un problema, che interessa tutte le fasce d’età, dalla nascita alla vecchiaia. Pensiamo, a tal proposito, a tutte le sordità infantili da un lato e alla presbiacusia dall’altro”.

Perché la diagnosi di ipoacusia è così complicata?

“È complicata, perché l’orecchio e’ composto da tre parti, che danno ciascuna diverse tipologie di ipoacusia. Distinguiamo un orecchio esterno – composto da padiglione auricolare, condotto uditivo esterno e versante epiteliale, esterno della membrana timpanica – che ha prevalentemente una funzione di trasmissione, e anche in parte di amplificazione ,di alcune frequenze e che ha, soprattutto, il compito di convogliare le onde sonore ad impattare sulla membrana timpanica ed a mettere in movimento il sistema del timpano-ossiculare, ovvero del timpano connesso agli ossicini, capace di trasmettere, attraverso un sistema di leve attraverso la finestra ovale, il suono all’orecchio interno. Quest’ultimo e’ composto da un recettore estremamente sofisticato caratterizzato da cellule neurosensoriali e liquidi endolabirintici che trasduce l’energia meccanica in energia elettrica. È importante sottolineare che queste cellule non si riproducono. Il danno, da esse subito, è quindi, permanente ed irreversibile”.

Quali sono le conseguenze cliniche di una diagnosi tardiva?

“Le conseguenze sono strettamente connesse alla sede della patologia. Una patologia dell’orecchio esterno, l’esempio più banale può essere il tappo di cerume, non comporta un danno permanente, anche nell’ipotesi di una diagnosi intempestiva. Il paziente continuerà ad accusare l’ipoacusia solo sino a quando non rimuovera’ il tappo. Un danno uditivo solo transitorio è anche quello provocato da un’infezione. Se la cute dell’orecchio esterno s’infiamma, il condotto uditivo diventa edematoso ed il paziente avrà un problema di udito e anche di dolore, ma solo sino a quando l’infezione non venga risolta con la somministrazione di antibiotici e di gocce auricolari. Analogamente, anche la gran parte delle patologie dell’orecchio medio sono curabili con successo, anche in assenza di una diagnosi intervenuta nel breve termine. Le patologie che, invece, richiedono una diagnosi ed un intervento tempestivi sono quelle dell’orecchio interno, soprattutto in ragione della presenza caratterizzante di un epitelio, che per sua natura non si rigenera. Fra queste vanno segnalate le sordità infantili, che si manifestano al momento della nascita. Possono essere genetiche o ereditarie, ma anche di tipo infettivo, quali sono quelle derivate da alcune infezioni, come la rosolia, la toxoplasmosi , l’herpes il citomegalovirus o tutte le altre infezioni, che si possono contrarre durante la gravidanza e possono provocare su uno o due neonati su mille una sordità profonda”.

La diagnosi della sordità infantile è complicata?

“È difficile diagnosticarla, anche perché i neonati ovviamente non collaborano in alcun modo nell’esecuzione dell’esame audiometrico ed è,quindi,necessario effettuare accertamenti diagnostici particolarmente raffinati, oggettivi, come i potenziali evocati e le otoemissioni acustiche. Una diagnosi precoce è fondamentale. Solo se si interviene entro il primo anno, o al massimo i diciotto mesi di vita, oggi è possibile riabilitare l’orecchio affetto da sordità profonda, non solo con una protesi acustica entro i primi sei o sette mesi, ma anche impiantando il cosiddetto “orecchio bionico” entro quelli successivi. Altrimenti, la conseguenza inevitabile è cercare di riabilitare un bambino quando ha perso parte della plasticità neuronale con notevole impatto negativo sull’acquisizione del linguaggioa differenza di quanto accade se si interviene entro i primi 18 mesi di vita”.

Quali sono le altre patologie, che richiedono, come conditio sine qua non, una diagnosi immediata o comunque tempestiva?

“Innanzi tutto le ipoacusie improvvise, che riscontriamo molto spesso nel corso di epidemie di tipo virale, influenzali, parainfluenzali, rhinovirus, virus respiratori e, da ultimo, il Covid. Sono tutti virus, che hanno un particolare tropismo per i nervi, tanto che si chiamano virus neurotropi, che determinano una perdita improvvisa di udito. La perdita improvvisa della funzione uditiva può essere provocata anche da problematiche di tipo circolatorio nei pazienti già affetti da ipertensione, diabete, microangiopatia diabetica, ipercolesterolemia, placche carotidee e tutti i fenomeni di arteriosclerosi. In tutte queste varie tipologie di ipoacusie improvvise, si riesce, almeno in parte, a sbloccarle, solo intervenendo entro i primi quattordici giorni e massimo entro un mese; dopo, invece,  il danno uditivo rimane permanente e non è, quindi, possibile una regressione dell’ipoacusia. I sintomi dell’ipoacusia sono multiformi e per coglierli tempestivamente è necessaria una conoscenza profonda di tutto l’apparato uditivo. Molte volte, ad esempio, il paziente viene trattato con aerosol o antinfiammatori generici, quando, invece, un’ipoacusia improvvisa interessa direttamente il recettore uditivo o direttamente il nervo acustico. Se si temporeggia troppo a lungo, ogni intervento sarà tardivo e non ci sarà, purtroppo, a quel punto più niente da fare”.

SaluteIn

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