Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano

Professor Remuzzi, dopo la drammatica emergenza della pandemia, che ha evidenziato la carenza di medici nel servizio sanitario nazionale, ha ancora senso un numero chiuso per l’accesso alle Facoltà di Medicina?

“Quanto stabilito su questo tema dalla Commissione Cultura del Senato, è da alcuni punti di vista condivisibile, ma su altri non sono proprio d’accordo. Apprezzo quello per cui ci siamo battuti per molti anni: consentire, come viene finalmente previsto, l’allineamento del numero dei laureati con i posti disponibili per l’accesso ai corsi di formazione”.

Il numero giusto delle iscrizioni è, quindi, da condizionare al post-laurea?

“Non può esserci la possibilità di accedere al corso di laurea in medicina per tutti quelli che lo vorrebbero. Il numero non dovrebbe essere né aperto né chiuso, se si iscrivessero sessantamila studenti certamente sarebbe impossibile seguirli tutti. Ma non dobbiamo neppure cadere nell’eccesso opposto, se se ne laureano troppo pochi, non avremo mai i medici che servono. Il numero giusto è quello che si programma rispetto alle esigenze. Capisco che non sia facile sapere quali saranno le necessità da qui a sei e poi dieci anni, considerando anche la formazione post-laurea. È positivo e qualificante anche l’aver previsto un monitoraggio del fabbisogno di medici. Ipotizzare con cognizione di causa il numero di medici e di specialisti di cui avremo bisogno fra un determinato numero di anni significa provare a programmare, anziché continuare a muoversi a tentoni, senza sapere dove si va a parare”.

Quali sono, invece, le novità che non la convincono?

“Quello che a mio parere non va bene è l’iscrizione libera al primo semestre del corso di laurea, subordinando il proseguimento al superamento di un determinato numero di esami. Mi sembra sia velleitario e oltretutto complicatissimo da mettere in pratica. Iscrivere tutti al primo semestre senza aver pensato prima a strutture, aule e professori rende tutto molto romantico, ma molto teorico.

Come se non bastasse, verrebbe meno la garanzia sinora vigente dell’anonimato…

“Proprio così. Non condivido neppure la tesi di chi sostiene che, liberalizzando l’accesso al primo semestre, si risolverebbe l’annosa questione dei ricorsi. Credo che sia vero esattamente il contrario. Provi a immaginare quale può essere la reazione di uno studente che si vede escluso sulla base di uno o due voti, oltretutto si tratta di voti nelle materie che si affrontano per prime, quelle più lontane dal poter giudicare della capacità degli studenti di essere medici.”

Le chiedo, a questo punto, quali sono le qualità necessarie per iscriversi, nella prospettiva di dover fare il medico?

“Uno, sapere ascoltare. Due, saper parlare con gli ammalati e le assicuro che sanno farlo in pochi. Tre, avere una buona conoscenza dell’inglese. Quattro, essere capace di mettere in correlazione fenomeni diversi fra loro e saper trovare una priorità o un filo conduttore. Cinque, saper decidere nel giro di pochi minuti. Sei, non perdersi d’animo, stando vicino a chi soffre e a chi muore. Gli esami del primo semestre, come anatomia, biologia e fisica, con tutto questo c’entrano fino a un certo punto. A quel punto, sarebbe più semplice e logico utilizzare, come discriminante, l’esame di maturità; certo si dovrà applicare un fattore di correzione per i divari di valutazione, non solo fra Nord e Sud ma anche fra i diversi istituti; ma questa è una cosa molto più semplice che non avere sessantamila studenti da esaminare, oltretutto su materie che hanno già affrontato al liceo”.

Se rinviare la selezione di sei mesi serve solo a complicare ulteriormente le cose, secondo lei quale strada si sarebbe dovuto imboccare?

Bisognava mantenere l’esame esistente, correggendo ovviamente alcune storture. Piuttosto che chiedere ai candidati chi ha scritto Barbablù o se Noam Chomsky sia stato o meno un senatore del governo degli Stati Uniti o, come è successo quest’anno, della “zapoteca”, io preferirei che chi vuole fare il dottore mi dica se secondo lui c’è un problema etico nell’impiegare cellule staminali embrionali per la ricerca, anche quelle che se no si butterebbero via. E se un ammalato grave ha il diritto di decidere come morire e quando? E se non lui, chi altro? Se mai più della dinamica del vuoto taoista, avrei chiesto qualcosa sul rapporto tra il pensiero di Galileo e i dogmi della Chiesa. Il futuro medico dovrebbe sapere cos’è il New England Journal of Medicine e il Lancet. Deve essere colto il futuro medico, siamo d’accordo, ma anche se non sa che «piove su le tamerici…», il celeberrimo passo di d’Annunzio, è un’anafora, pazienza. Meglio sapere chi è il nuovo direttore del New York Times.

In ogni caso, con tutti i limiti del test attuale, i ragazzi che lo superano sono bravissimi, e questo è certamente un obiettivo raggiunto. Il test lo si può migliorare, certamente, ma abolirlo per dar vita a un sistema nuovo, impraticabile, che finirà per avere già, per sua natura, le ore contate, a mio parere non conviene”.

SaluteIn

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