Ventidue interviste a ventidue grandi protagonisti di un calcio che non c’è più, ma che si può ancora respirare attraverso i commoventi racconti di sport e soprattutto di vita.

Intervista ad Antonello Sette

Come e quando è nata l’ispirazione che ti ha portato a scrivere questo libro?

“C’era una volta il calcio” nasce da un’intuizione condivisa con il Direttore del Foglio, Claudio Cerasa, quando insieme decidemmo di raccontare il calcio di una volta, attraverso i ricordi dei suoi protagonisti. Un’intuizione condivisa anche da Umberto Zapelloni, che ha voluto che traslocasse sulle pagine dell’inserto sportivo, di cui è responsabile. Questo libro nasce da una passione che viene da lontano: quella che mi ha trasmesso mio padre, portandomi a vedere quando ero bambino un Lazio-Juventus 2 a 0, gol di Selmosson e Muccinelli, che è stata la mia indimenticabile iniziazione. Era la prima volta che vedevo con gli occhi stupefatti di un bambino quel prato verde con le porte e le righe bianche. Ricordo che c’era il sole e non c’era stato bisogno, come tante altre volte sarebbe accaduto, di ripararsi con l’ombrello dalla pioggia. Ancora oggi, a distanza di quasi anni da quando mi ha lasciato a vedere le partite da solo, ogni volta che non vado allo stadio, mi sento in colpa nei confronti di mio padre.

Pensando al calcio di ieri e a quello di oggi siamo di fronte a due mondi diametralmente opposti. Tornare alle radici permette in qualche modo di recuperare i principi più sani di questo sport?

Questo libro, più che calcio giocato, schemi e gesti tecnici, vuole raccontare un’epoca sparita. Le emozioni, i retroscena e gli aneddoti inediti di un calcio lontano anni luce dalla moderna ubriacatura. Sullo sfondo dei racconti di ventidue celebrità, che del calcio hanno scritto indimenticabili pagine di storia, si alternano due protagonisti che amavano il calcio, oltre che inondarlo di quattrini. Gianni Agnelli telefonava a Totò Schillaci e a tutti i componenti della rosa alle 7 del mattino per sincerarsi delle condizioni di ciascuno. Silvio Berlusconi alle tre di notte si divertiva a intrattenere Giovanni Galeone, snocciolando formazioni, senza accorgersi che, ingannato dall’abbondanza dell’organico e forse anche dall’ora tarda, di calciatori ne schierava per sbaglio dodici, prefigurando in tal modo ai suoi interlocutori superiorità numeriche evidentemente “farlocche”. Nel libro ci sono anche le rivelazioni e i colpi di scena a posteriori. Così, ad esempio, apprendiamo che Sandro Mazzola ha sempre pensato di essere più forte di Gianni Rivera e che Aldo Agroppi non rinnega nessuna delle polemiche innescate, ma, a sorpresa, chiede scusa agli arbitri. “Senza gli arbitri – confessa – io non avrei giocato a pallone e sarei andato a lavorare in fabbrica, come mio padre. E poi, poveretti, oggi come oggi, sono costretti a fare i conti con calciatori villani e arroganti, che li spintonano e li prendono a male parole”.

Dunque ventidue storie di ventidue grandi campioni. Senza fare torto a nessuno, c’è un personaggio o un aneddoto che ti ha colpito particolarmente?

Mi ha colpito molto il racconto di Ciccio Graziani a proposito del famoso rigore sbagliato contro il Liverpool, episodio che gli è rimasto dentro, accompagnandolo tutta la vita; a proposito del Ciccio nazionale, il suo racconto si stende sino al Paradiso, dove dà appuntamento a Grobbelaar per un altro rigore e un’altra rincorsa. Questa volta non ci saranno i flash dei fotografi ad accecarlo al momento del tiro. Questa volta sarà lui a ballare di felicità. Non c’è fretta, naturalmente. Porto dentro anche Aldo Agroppi, che ha 80 anni e scrive continuamente lettere ai suoi nipotini, raccontando tutto quello che di bello pensa di loro. Questo perché, quando non ci sarà più, le parole rimarranno per sempre. Poi c’è il dolore di Gigi Martini, che perde a distanza di un mese e mezzo prima il suo allenatore e maestro, Tommaso Maestrello, poi l’amico di una vita, Luciano Re Cecconi; non riesce più a giocare a calcio dunque farà prima il pilota Alitalia, poi il deputato infine il navigatore solitario in mezzo al mare. A proposito di dolore come non citare il più intenso di tutti, quello di Giovanni Galli che vive sulla sua pelle la drammatica perdita del figlio Niccolò; un’esperienza dalla quale nessuno può mai riprendersi, ma che lui affronta grazie alla fede, la sua àncora di salvezza. Insomma in generale mi ha colpito molto che dietro questi personaggi è sempre stata molto presente la famiglia. Per Bruno Conti il gol più bello è aver vinto lo scudetto della Roma con la maglia della squadra per la quale il padre faceva un tifo sfegatato. E poi le mogli di questi personaggi: donne straordinarie, matrimoni durati una vita: quasi impensabile oggigiorno!

Perché un giovane dovrebbe leggere questo libro? Cosa ti auguri di trasmettergli?

Perché racconto il fascino non solo di uno sport, ma di un qualcosa che per la mia generazione era unica. Non c’erano i social, il calcio ci univa, era elemento di aggregazione e passione comune. Quando finì la guerra, il pallone aiutò tanto a ricostruire, creando un tessuto sociale importante. Questi calciatori li ho interpretati, trasformando le loro interviste in delle storie. I diretti protagonisti si sono commossi mentre hanno riletto le loro stesse storie e mi ha emozionato scoprirne il lato più intimo ed umano. Mi auguro che il calcio torni ad essere più simile al passato; oggi c’è il rischio che l’intelligenza artificiale e la tecnologia prendano sempre di più il sopravvento. Pensiamo al fatto che oggi spesso bisogna aspettare addirittura per esultare prima di un gol perché la Var deve ricontrollare. Naturalmente il calcio, anche se non è più lo stesso di una volta, non morirà mai. Almeno sino a quando, come spiega Ciccio Graziani, verrà voglia a chi è bambino e a chi, come lui, lo è stato, di rincorrere un pallone ogni volta che ruzzola su un prato.

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