Intervista esclusiva di Antonello Sette ad Alessandro Vento, Psichiatra, responsabile Osservatorio sulle dipendenze
Dottor Vento, sulla cannabis la disinformazione regna sovrana?
“Purtroppo è così. Pensi che molti degli stessi ragazzi con cui lavoriamo, dei loro genitori e dei loro insegnanti, per non parlare di chi teoricamente dovrebbe informare per mestiere, la considerano una sostanza innocua dal punto di vista delle conseguenze. In realtà, come dimostrano tutti gli studi intrapresi a livello internazionale e l’esperienza pratica di chi, come me, è quotidianamente a contatto con i ragazzi che la consumano, dimostrano l’esatto contrario. La cannabis di nuova generazione, quella per intenderci in circolazione dagli anni ’90 in poi, è una sostanza ad alta potenza, i cui principi attivi, soprattutto il THC ad elevata concentrazione si sono moltiplicati nel tempo e producono tutta una serie di conseguenze di rilevanza soprattutto psichiatrica”.
Quali sono in sintesi queste conseguenze psichiatriche?
“La cannabis è un fattore di rischio di alcune psicosi gravi, come la schizofrenia. Un ragazzo che comincia a fumare qualche canna dall’età di tredici o quattordici anni e successivamente ne aumenta la frequenza sino a farne un consumo giornaliero, è destinato, pressocché inevitabilmente, a una serie di malattie di rilevanza psichiatrica”.
Presumo che la schizofrenia sia un’eventualità meno comune. Quali sono, invece, i danni più frequenti?
“La malattia più frequente in termini epidemiologici è la sindrome a-motivazionale. È una sindrome neurologica, indotta dagli effetti dei cannabinoidi sul cervello, che disincentiva la persona a fare tutto quello che faceva prima. Se la persona prima andava a scuola e faceva sport, ne perde le motivazioni e si rinchiude in sé stessa. Quello che si manifesta è un grave calo di funzionamento e attenzione, con un ritiro sociale e la casa vissuta come unico rifugio. Tutto questo accade in tante famiglie, nelle migliori famiglie, verrebbe da aggiungere. In alcuni casi il consumo cronico di cannabis arriva a produrre psicosi, molto simili alla schizofrenia. Queste tipologie di psicosi, collegate all’uso dei cannabinoidi, coinvolgono un quarto dei ragazzi che attualmente accedono ai centri di salute mentale”.
Lei collabora attivamente al progetto dell’Ordine dei medici di Roma su cannabis e altre dipendenze…
“L’Ordine dei medici di Roma ha promosso un progetto e stipulato un accordo di collaborazione con l’Osservatorio sulle dipendenze, di cui sono presidente. Questo nell’ambito di un gruppo di lavoro, di cui faccio parte, coordinato dal professor Antonio Bolognese. È un’iniziativa resa possibile dai contributi della Fondazione Roma. Andiamo nelle scuole per fare prevenzione su tutti gli aspetti, mostrando le possibili conseguenze, collegate all’uso di cannabinoidi. Utilizziamo un metodo, che si chiama “Peer education”, educazione fra pari. Lavoriamo in un primo tempo con tutto il gruppo degli studenti. Poi diamo vita a una serie di laboratori, con gruppi ristretti di studenti, selezionati in base al loro carisma e alla loro autorevolezza: i leader, quelli che con più facilità ed efficacia possono veicolare il messaggio. I laboratori producono, nel corso dell’intero anno scolastico diapositive, sculture, video, disegni, che alla chiusura dell’anno presentiamo a tutte le classi coinvolte in una sessione plenaria finale. È un momento molto significativo di questa campagna. Operiamo, in contemporanea, sia con gli insegnanti che con i genitori. Una campagna di informazione e prevenzione, a cui abbiamo dato il nome di In-dipendenza. Abbiamo potuto constatare, utilizzando anche questionari anonimi, un’importante acquisizione di conoscenza su tutte le problematiche legate all’uso della cannabis, con concreti effetti benefici a livello di prevenzione”.
Quanti ragazzi avete già raggiunto?
“In due anni e mezzo abbiamo coinvolto in totale 3355 persone: 2574 studenti, dalla seconda media alle superiori, 134 allievi di circoli sportivi, 419 genitori di studenti e allievi, 228 insegnanti e allenatori”.
Non tutto è, quindi, perduto. Esiste la speranza di un’inversione di tendenza?
“Assolutamente sì. Il nostro metodo è stato molto apprezzato anche a livello istituzionale e stiamo predisponendo un manuale per renderlo riproducibile al di fuori e oltre il nostro raggio d’azione. La battaglia sarà lunga e complicata, ma dobbiamo vincerla. È in gioco il bene più prezioso: il futuro delle nuove generazioni e dei nostri figli”.