Intervista esclusiva di Antonello Sette a Fabio Facchinetti, già Presidente della Società Italiana di Medicina Perinatale e professore ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università di Modena

Professor Facchinetti, arrivati, come siamo, al primo quarto di secolo del terzo millennio, le chiedo quali sono le certezze dei bambini che in Italia si apprestano a nascere. I rischi sono uguali per tutti?

“Purtroppo no. I rischi sono differenti, da ospedale a ospedale, da bambino a bambino, da regione a regione. Sono i numeri a dircelo in maniera inequivocabile”.

Ci spieghi meglio…

“Nel 2010, un accordo fra Stato e Regioni stabilì che non si sarebbero più potuti mantenere aperti i punti nascita con meno di 500 parti all’anno. L’obiettivo dichiarato era quello di rendere più sicuri i parti. A quindici anni di distanza, i numeri dicono che sono ancora uno su quattro gli ospedali italiani, in cui si partorisce meno di 500 volte all’anno, il che vuol dire una media di nascite di poco superiore a una al giorno”.

Questa persistente esiguità di parti in un quarto dei punti nascita complessivi che cosa comporta?

“È inevitabile che le équipe, che assistono le partorienti in modo così sporadico, abbiano pochi numeri e una minore esperienza per far fronte a tutte le impreviste complicanze del parto e alle emergenze. Pensi a quando un feto non riesce a nascere e si rendono necessarie manovre particolari: un conto è avere affrontato la distocia di spalla o la malposizione in diverse occasioni, un altro per la prima o la seconda volta, da solo, senza un esperto che ti guidi. Certo, ci si può esercitare con le simulazioni, ma anche queste sono, però, poco diffuse. Aggiungo che la maggior parte dei reparti, che fanno nascere meno di 500 bambini all’anno, sono ubicati all’interno di ospedali piccoli, quindi poco supportati anche a livello organizzativo generale , per rendere il parto sicuro. Penso, ad esempio, alla disponibilità immediata, h24, 7 giorni su 7, di una sala operatoria, di un anestesista, di un neonatologo e di infermieri dedicati: se e quando decido che non c’è più tempo e bisogna procedere in emergenza ad un taglio cesareo. Aspettare che qualcuno arrivi da casa non è il massimo auspicabile. Questi colleghi sono, quindi, costretti a prevedere l’imprevedibile e ad assumersi responsabilità in condizioni di minor tutela e supporto organizzativo. Pensi anche all’ipotesi di una donna che durante il parto perde molto sangue, se l’ospedale, in cui è ricoverata, non dispone di una vera e propria emoteca”.

Sarebbe interessante capire perché si disattende un solenne accordo fra Stato e Regioni, risalente a 15 anni fa…

“Lei è sufficientemente navigato per capire che tanti amministratori ci tengono ad avere il loro ospedale dentro o almeno in prossimità del Comune di riferimento. Anche se in questo modo, quello che la politica ha scritto nel 2010, è rimasto in troppe zone d’Italia nella realtà delle cose lettera morta”.

 Mi sta dicendo che non tutta l’Italia è Paese…

“Io vivo in una Regione, l’Emilia Romagna, dove nel 2010 c’erano trenta punti nascita ed oggi ce ne sono diciassette. Non è ancora la perfezione, ma una risposta significativa c’è stata, malgrado tante polemiche”.

Presumo che la risposta sia stata, invece, più flebile al Sud…

“Lei presume bene. D’altronde, è la sanità in generale a procedere a doppia, se non tripla, velocità. Tutta la medicina perinatale al Sud mostra indicatori peggiori che al Nord, lo dicono i numeri. Il dramma delle morti materne, ad esempio, fortunatamente ormai molto rare, è un’eventualità più del Sud che del Nord, così come i tagli cesarei, che al Sud sono circa il doppio. A questo proposito i dati più recenti dicono che in Italia i tagli cesarei sono decisi nel 30 per cento dei parti, ma è un dato geograficamente tutt’altro che omogeneo. A partorire con taglio cesareo sono due donne ogni dieci al Nord, quattro al Sud”.

Non tutti i bambini sono, quindi, uguali neppure negli attimi in cui vengono al mondo…

“No, ma prima di concludere vorrei ribadire che il parto nasconde ancora un fattore di rischio, collegato a circostanze imprevedibili, rare sì, ma non impossibili. E, quindi, bisogna essere sempre e ovunque attrezzati e pronti per ogni evenienza. Senza dimenticare che da parte della partoriente e del nascituro l’aspettativa è pari al cento per cento. Una donna in procinto di partorire è quasi sempre una donna sana, che si aspetta di tornare nella propria casa con un bambino altrettanto in buona salute, mentre dal punto di vista biologico una certezza non può esistere. Credo, quindi, che bisogna fare tutto il possibile per corrispondere alle aspettative di chi si affida a noi medici e alle istituzioni per realizzare un evento tanto desiderato e tanto atteso, a partire dal rispetto di un accordo Stato-Regioni sacrosanto, lungimirante, ma ancora in buona parte disatteso”.

SaluteIn

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