Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Vittorio Unfer, ginecologo, docente universitario UNICAMILLUS di Roma e Presidente dell’EGOI-PCOS
Professor Unfer, se ne parla forse troppo poco, ma la depressione post partum, può arrivare a compromettere la salute mentale di chi è appena diventata madre…
“La depressione post partum investe, seppure a diversi livelli, una percentuale di donne che oscilla fra il 16 e il 20 per cento. Il problema vero è il suo disconoscimento. Viene infatti individuata e riconosciuta solo nella metà dei casi. Questo accade perché molti sintomi vengono confusi con quella stanchezza fisica e psicologica, in qualche modo fisiologica, della fase temporale che segue immediatamente il parto. Il ritardo nella diagnosi può diventare molto pericoloso. Le pazienti, afflitte dalla depressione post partum, sono potenzialmente esposte a rischi estremi, come il suicidio o, addirittura, l’infanticidio. Si deve, quindi, agire tempestivamente per scongiurare una deriva psicologica dagli effetti persino disastrosi”.
Da quando la depressione post partum viene riconosciuta come tale?
“Si parla per la prima volta di depressione post partum nel DSM-4 dell’American Psychiatric Association, datato 1952. In realtà, le prime descrizioni si perdono nel tempo e risalgono, addirittura, a Ippocrate, a meta del V secolo a.C., quando fu rilevata una maggiore incidenza di follie puerperali, come a quei tempi erano chiamate le alterazioni psichiatriche successive alla gravidanza. Dobbiamo, però, attendere l’inizio del ‘900 per vedere stabilita una correlazione diretta, di causa ed effetto, da parte della scuola psichiatrica francese, che notò l’aumento dei ricoveri per sindromi maniaco-depressive nel primo mese dopo il parto”.
La depressione post partum è davvero priva di avvisaglie?
“La gravidanza è un momento straordinario e comporta di per sé uno stress psicologico non indifferente. La donna vede modificare vistosamente il proprio corpo, giorno dopo giorno, nell’arco di pochi mesi. C’è un nuovo organo, la placenta, che pesa quasi un chilo e produce una marea di ormoni. Con il parto viene automaticamente espulsa e si diventa improvvisamente carenti dell’enorme quantità di ormoni, estrogeni e progesterone, sino a quel momento garantita. C’è, quindi, inevitabilmente uno scombussolamento ormonale, a cui la donna deve in fretta riadattarsi, anche a livello psicologico. C’è, contemporaneamente, una nuova vita che è entrata in casa e il dover far fronte alle nuove necessità: il bambino non dorme, il bambino deve essere seguito e allattato. Tutta la vita familiare e sociale dei genitori viene stravolta, ma il peso di gran lunga maggiore grava sulla donna. L’apatia, la stanchezza, l’insonnia che patisce, vengono generalmente considerate manifestazioni fisiologiche di una condizione del tutto particolare, il che in molti casi corrisponde al vero. Già, però, la sola alterazione del ritmo fisiologico sonno-veglia comporta delle conseguenze sulla psiche. Capire quando si deborda dalla fisiologia ed entra nella patologia è fondamentale. Una tardiva diagnosi o la sottostima dei sintomi possono essere la premessa di una degenerazione non più controllabile. Individuare precocemente la depressione post partum significa, al contrario, avere la possibilità di intervenire e scongiurare l’evoluzione di questa patologia e le sue conseguenze, potenzialmente anche drammatiche”.
Come si blocca l’evoluzione della patologia?
“Servono gli specialisti, la psicoterapia e, eventualmente, anche i farmaci. La cosa più importanti è innanzi tutto che la paziente ne parli e che trovi qualcuno, a partire dal ginecologo, che l’ha seguita per nove mesi, disponibile ad ascoltarla e capace di identificare la malattia. A quel punto, diventa un lavoro di gruppo, perché il passo successivo è l’affidamento della paziente a uno psichiatra, l’unico deputato per le sue competenze a inquadrare nel giusto modo la patologia, se di patologia si tratta, e a individuare un percorso di cura”.
Da profano verrebbe da pensare che la depressione post partum sia un fenomeno in crescita, se non altro per l’importanza sempre maggiore che le donne sono indotte dai social ad attribuire al corpo…
“Ha assolutamente ragione. Il corpo è diventato il nostro visibile biglietto da visita. Ribadito questo, la depressione post partum incide maggiormente su alcune categorie e condizioni. Le donne che hanno avuto una gravidanza complicata, o anche solo conclusasi con il ricorso al taglio cesareo, sono sicuramente più a rischio delle altre. Un capitolo a parte meritano le donne, e sono sempre di più, che fanno ricorso alla procreazione medicalmente assistita. È un percorso molto pesante per la coppia, ma sicuramente, ancora una volta, soprattutto per la donna, per di più molto spesso gravato da precedenti insuccessi, il cui peso si porta sulle spalle, anche quando finalmente arriva la svolta tanto attesa. Non a caso nei centri di procreazione assistita è raccomandata la presenza di uno psicologo. C’è un dato, in qualche modo inquietante, che dà la misura delle difficoltà. La percentuale di separazioni, anche laddove l’intero percorso si è concluso con un successo, è molto più alto che nelle altre coppie. Come se fosse accaduto qualcosa di irreparabile, che ha fatto crollare le fondamenta stesse del rapporto. Come se un male oscuro avesse covato durante un tempo di attesa tendenzialmente infinito. Come se la realizzazione del sogno avesse prosciugato tutte le energie e la voglia stessa di restare insieme. L’equilibrio va in frantumi, proprio quando viene raggiunto l’obiettivo così a lungo condiviso, desiderato e, costi quel che costi, inseguito”.