Intervista esclusiva di Antonello Sette a Michele Rampoldi, Direttore U.O.C. Chirurgia Ricostruttiva della Mano, Ospedale C.T.O. ASL Roma2
Professor Rampoldi, il polso comincia laddove finisce la mano e ne assicura mobilità e funzionalità. C’è, a quel che so, un aumento di queste fratture, specie negli anziani, di cui si parla poco o nulla…
“La frequenza delle fratture del polso è aumentata in tutte le fasce d’età. Nei giovani e negli adulti si segnala una maggiore facilità di incorrere in traumi, con una preponderanza di quelli derivati dalla pratica sportiva. Negli anziani l’incidenza è ancora più elevata rispetto al passato, innanzitutto perché si vive più a lungo. A questo dato anagrafico si aggiunge che oggi gli anziani conducono una vita molto più attiva, con un conseguente aumento del rischio di cadute”.
Gli anziani sono anche più deboli strutturalmente…
“Questo è un aspetto che molto spesso fa la differenza. Le ossa dei pazienti anziani sono più deboli. La longevità corre insieme all’osteoporosi, esponendo sempre più al rischio di quelle che vengono definite le fratture di fragilità. Anche un trauma apparentemente banale può rompere un osso fisiologicamente fragile”.
La soluzione è sempre l’imbiancatura in gesso che ha segnato le nostre cadute giovanili, con la corsa alle firme autografe a sporcare il bianco originario?
“Un tempo era quello l’unico trattamento possibile, con il corollario pressocché inevitabile di guarigioni per così dire imperfette, con deformità, che provocavano limitazioni funzionali all’epoca accettate e tollerate come ineluttabili. L’anziano, trattato in gesso, guariva spesso male, con il polso storto e una limitazione funzionale, che non mortificava, come accadrebbe oggi, le richieste e le aspettative di mobilità e di una vita sanamente attiva. Ora come ora, anche l’aspetto estetico ha assunto un rilevante peso esplicito. Tutti, anziani compresi, sono molto meno tolleranti, rispetto all’esito e alle conseguenti prospettive funzionali di un polso deformato”.
Gesso addio, con buona pace di chi fatica ad accettare un cambiamento di strategia, che sconvolge consuetudini universalmente consolidate, secondo le quali il polso rotto non può che essere ingessato…
“Oggi il trattamento delle fratture del polso prevede l’osteosintesi, ovvero la riduzione chirurgica della frattura e la sua stabilizzazione con una placca in viti. Queste procedure, introdotte a cavallo del terzo Millennio, si sono evolute nel corso degli anni, anche per un inquadramento diagnostico via via più accurato. Al tempo del gesso si effettuava solo una semplice radiografia. Al tempo d’oggi, nelle fratture più complesse è pressoché indispensabile l’esecuzione di una TAC, che permette di definire con precisione la tipologia della frattura e di pianificare un trattamento mirato.”
Siamo sbarcati sulla luna della personalizzazione. A ciascuno la sua frattura. A ciascuna frattura una soluzione ad hoc…
“Ormai le aziende ci forniscono diversi sistemi di sintesi, sulla base dei quali vengono configurate e definite placche specifiche per ogni frattura. Per di più, le placche disponibili sono sempre meno invasive e più piccole nella dimensione, ma nello stesso tempo più performanti, perché sono in grado di stabilizzare quella specifica tipologia di frattura e nessun’altra”.
Qual è l’obiettivo del trattamento chirurgico e quali sono i rischi?
“L’obiettivo è la riduzione della frattura nella modalità il più possibile rispettosa dell’anatomia ed è questo il parametro di riferimento su cui si misura la bontà del risultato. Oltretutto, tanto più la riduzione sarà anatomica e stabile, tanto più sarà precoce la mobilizzazione. Evitando il gesso, si può, infatti, mobilizzare il polso molto precocemente già da subito, oppure, come accade più spesso, a distanza di un paio di settimane, dopo che il polso è stato immobilizzato con un piccolo tutore. Seguendo questa procedura, il paziente può in genere riacquistare nell’arco di un mese una mobilità tale da consentirgli di tornare alla propria attività lavorativa e a una vita normale”.
Anche la riabilitazione fisioterapica ha fatto progressi paralleli?
“Si è sicuramente maggiormente attenti alla riabilitazione del polso, come è dimostrato dalla nascita, di specializzazioni riabilitative ad hoc per il trattamento specifico delle patologie e dei traumi del polso e della mano. In questo modo, il recupero funzionale è completato, con risultati e prospettive a lungo termine molto più rassicuranti rispetto al passato”.
E i rischi?
“Come in tutte le innovazioni positive, c’è anche il rovescio della medaglia. Per intervenire chirurgicamente sul polso fratturato e inserire la placca adatta, bisogna possedere a monte le competenze e l’esperienza necessarie”.
Gli improvvisatori sono pericolosi…
“Occorre preventivamente conoscere a menadito le diverse tipologie di fratture e i sistemi di sintesi, perché se uno non ha i giusti requisiti…”.
Può fare danni…
“Sì, per usare una metafora scolastica, se il tema proposto è buono, ma lo svolgimento non è all’altezza, si possono fare danni da matita blu, di cui, ogni tanto, veniamo purtroppo a conoscenza”.