Intervista esclusiva di Antonello Sette a Valerio Di Rienzo, già professore a contratto presso l’Università Cattolica di Roma, specialista in allergologia e pneumologia
“L’allergia è un come un incendio. Va spento, prima che sia troppo tardi”.
C’è per caso carenza di pompieri?
“Il grande problema è che negli ultimi anni si sta utilizzando poco quello che volgarmente si chiama vaccino, e che altro non è che un’immunoterapia, peraltro composta da soli prodotti naturali. L’effetto è la riduzione drastica della sensibilizzazione dell’organismo nei confronti di polveri, pollini e muffe. Purtroppo, i ritmi vorticosi della vita moderna favoriscono ahimè il ricorso a terapie sintomatiche, cortisone, spray, antistaminici, che agiscono, con più o meno efficacia, sul sintomo e non sulla malattia”.
Come viene somministrata l’immunoterapia antiallergica?
“Ormai da molti anni la somministrazione è sublinguale. È un metodo che garantisce non solo la massima efficacia, ma anche l’assenza di qualsiasi tipo di reazione negativa e di controindicazioni”.
Perché è importante non perdere tempo e spegnere subito l’incendio allergico?
“È fondamentale agire, prima che il processo diventi irreversibile e si manifestino patologie che, una volta cronicizzate, diventano inevitabilmente più difficili da curare. Questo spiega perché questa tipologia di terapia, che assomiglia al vaccino, ma vaccino non è, la raccomandiamo per i bambini di tre o quattro anni, una volta naturalmente che sia stata individuata l’allergia specifica”.
L’impostazione prevalente nella lotta contro l’allergia è, se capisco bene, profondamente sbagliata?
“Purtroppo con la fretta e il mordi e fuggi non si può andare al di là di un temporaneo sollievo. Sino a qualche anno fa, l’immunoterapia era un’arma in mano allo specialista allergologo, oggi si preferisce ricorrere a terapie sintomatiche, che non interagiscono in alcun modo con la storia e l’evoluzione naturale dell’allergia”.
Questo vaccino, che vaccino non è, quali allergie copre e protegge?
“I sublinguali contengono l’allergene verso cui il paziente manifesta un’allergia. Le faccio un esempio concreto. Ho una positività accertata per gli acari con una sintomatologia di starnuti, occhi rossi, liquido dal naso e, in taluni casi, l’asma. Tutto questo accade perché io inalo l’acaro della polvere, scatenando una reazione con i miei anticorpi, che sono di classe IgE, le cosiddette reagine. Con l’immunoterapia introduciamo per via sublinguale l’allergene specifico verso il quale il paziente manifesta allergia”.
I dosaggi sono importanti?
“All’inizio le dosi devono essere estremamente ridotte e poi gradualmente aumentate, in modo da abituare progressivamente l’organismo. È un meccanismo assolutamente naturale. Quando io mi siedo sul divano e inalo l’acaro, subisco una reazione. La strada che segue l’immunoterapia sublinguale è esattamente la stessa. Metto l’acaro sotto la lingua, naturalmente nella dose più opportuna, e abituo l’organismo a tollerarlo”.
Qual è la differenza fra il prima e il dopo?
“Se prima della somministrazione del cosiddetto vaccino io stavo male inalando un grammo di polvere, dopo, per farmi star male, ce ne vorranno tre. Non va mai dimenticato che l’allergia è un problema di carattere genetico. Non è, quindi, possibile guarire. Si può, però, migliorare la patologia e regalare al paziente la sensazione di stare finalmente bene. La stragrande maggioranza degli allergologi specializzati, quelli veri per essere chiari, e non improvvisati, sanno che l’immunoterapia è un’arma che deve essere assolutamente usata, perché è l’unica che può cambiare la storia naturale della patologia. E a lungo termine la vita del paziente.”