Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano
Caro professore, lo spettro dell’influenza aviaria si aggira per il mondo. È un pericolo concreto?
“Un caso di influenza aviaria, a parto genetico molto pericoloso, è stato identificato per la prima volta nel 1996. Il virus arrivava dalla Cina, per l’esattezza da Guangdong ed era un sottotipo H5 dell’influenza che, trasportato dagli uccelli migratori, ha infettato animali, dapprima soprattutto polli, in tutti i continenti. Nel 2021, ovvero venticinque anni dopo, la stessa influenza, già fatale nei polli, ha cominciato a diffondersi tra i mammiferi, sia terrestri che marini. Il cerchio si è ulteriormente allargato nell’anno appena trascorso, quando è stato rinvenuto nelle mucche. Ottocento mandrie sono state colpite nel Texas e poi progressivamente in sedici Stati americani. Oggi sappiamo quindi, con certezza, che volatili, inclusi i polli, e le mammelle delle mucche hanno recettori per il virus aviario, ma non solo, tanto che ne sono stati contagiati anche diversi altri animali, fra cui i gatti. Gli ultimi dati a disposizione del Centro per il controllo delle malattie degli Stati Uniti, che risalgono all’ottobre del ’24, hanno riportato 15 casi di infezione umana, soprattutto allevatori a diretto contatto con animali infetti e col loro latte e persone esposte al pollame.”.
Tutti contagi di provenienza esclusivamente animale…
“Sì, al momento parliamo di contagi umani ma solo da animali infetti. Non c’è per ora nessuna evidenza di trasmissione del virus dall’uomo all’uomo. La ragione è semplice. I recettori attraverso cui il virus potrebbe legarsi alle vie respiratorie dell’uomo non sono ancora adatti ad accoglierlo, o per lo meno ad accoglierlo così come è, ma dobbiamo considerare che il virus in questi anni è mutato e continua a mutare nel passare da un animale all’altro. Un lavoro scientifico, portato a compimento proprio in questi giorni, ha dimostrato che basterebbe un’ulteriore mutazione per far sì che il virus possa legarsi a recettori umani e trasmettersi così da uomo a uomo.
L’Italia è rimasta nel frattempo del tutto immune?
“In Italia sono stati segnalati casi di influenza aviaria da H5N1 negli uccelli selvatici e nel pollame. Anche recentemente, in ottobre, si è avuto un caso in un allevamento avicolo del nord-est. Non ci sono casi di contagio di animali a uomo per ora e le autorità sanitarie stanno monitorando la situazione per prevenire la diffusione del virus.”.
Quanto è pericoloso il virus dell’influenza aviaria per l’uomo?
“Uomini infettati da mucche e pollame di solito hanno una modesta congiuntivite e dei sintomi respiratori non molto importanti ma se guardiamo ai casi del passato di uomini che hanno contratto la malattia dal pollame, la letalità nei casi che richiedevano ricovero ospedaliero era del 30%. Un uomo è morto nella Luisiana in questi giorni, ma era anziano e aveva a suo carico altre conclamate patologie. Una ragazza di 13 anni, decisamente sovrappeso, ha avuto una progressione della malattia sino a dover essere ricoverata in ospedale per un danno respiratorio importante ma, opportunatamente trattata con antivirali, è guarita. Quindi, in questo momento non c’è un rischio concreto di trasmissione da uomo a uomo. Preoccupa però il fatto che mammiferi di terra e di acqua siano già stati contagiati e morti a causa del virus. Già in Asia sono stati trovati maiali con il virus H5N1 e nel maiale il virus potrebbe mutare ancora. Non solo, ma questa evenienza potrebbe essere ancora più concreta in uomini che si dovessero infettare contemporaneamente col virus dell’influenza stagionale e con H5N1; questo consentirebbe ai due virus di scambiarsi le informazioni genetiche e ci sarebbe il rischio concreto di ricombinazione in un ceppo capace di trasmettersi da uomo a uomo. E questo porterebbe inevitabilmente a una nuova pandemia”.
Vi state già in qualche modo preparando a questa malaugurata evenienza?
“Come comunità scientifica ci stiamo già occupando dei vaccini. Le notizie, che a mano a mano stanno arrivando, sono confortanti. Sia Moderna che Pfizer stanno predisponendo dei vaccini, che sono ancora negli stadi precoci di preparazione e potranno essere somministrati su larga scala solo quando saranno completati gli studi in laboratorio, quelli sui roditori e gli studi preliminari nell’uomo. Sappiamo già, però, che questi vaccini inducono anticorpi nei furetti e nei roditori e che, quando questi piccoli animali sono stati trattati con dosi letali del virus, una volta vaccinati, non solo sono tutti sopravvissuti, ma neppure si sono ammalati. La comunità scientifica sta facendo uno sforzo enorme. Avremo sicuramente un vaccino, la difficoltà sarà però quella di inseguire con vaccini sempre aggiornati un virus in continua mutazione. Nel frattempo, senza aspettare l’ufficialità di una avvenuta trasmissione del virus da uomo a uomo, le precauzioni da seguire sono esattamente quelle del Covid: mascherina, distanziamento e la massima attenzione nella frequentazione di luoghi affollati. Poi ci sarà il vaccino, sarà un vaccino a mRNA (quello più sicuro). Il vaccino sarà capace di prevenire l’infezione in una percentuale elevata dei casi, non è detto che impedisca in senso assoluto la trasmissione, ma certamente attenuerà la gravità della malattia in tutti quelli che lo potranno fare. A questo proposito, tutta l’esperienza maturata con il Covid si sta già rivelando estremamente preziosa”.