Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Camillo Marra, Direttore della Clinica della Memoria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli
Professor Marra, che cosa possiamo e dobbiamo fare di fronte a una problematica drammatica, sia umanamente che socialmente, qual è la demenza senile e l’Alzheimer?
“Il primo step fondamentale è sensibilizzare medici e familiari sull’importanza dell’intercettazione dei disturbi cognitivi in una fase il più possibile precoce, così da poter tempestivamente intervenire. La diagnosi precoce è un’esigenza prioritaria, che è stata per troppi anni disattesa per un misto di fatalismo e incultura. Solo negli ultimi anni l’attenzione è progressivamente aumentata, anche perché possiamo oggi contare su nuovi strumenti diagnostici neuropsicologici, che ci permettono di intercettare i disturbi in una fase più precoce rispetto al passato e nuovi strumenti di tipo biologico, essenzialmente biomarcatori, che sono in grado di identificare la presenza della patologia neurodegenerativa, soprattutto dell’Alzheimer, prima ancora dell’esordio dei disturbi cognitivi. Attraverso un esame liquorale e immagini PET con marcatori specifici possiamo identificare quelle molecole presenti nel cervello dei pazienti (principalmente beta amiloide e fosfotau), che si accumulano già in una fase preclinica di malattia. Si sta lavorando, a livello scientifico, per far sì che questi biomarkers della malattia siano individuati non solo attraverso l’esame del Liquor cefalorachidiano, che rappresenta un modo invasivo o la PET con radioligandi, che è un metodo oltremodo costoso, ma anche più semplicemente attraverso un esame ematico e misurandoli nel plasma. Quando questa nuova metodica, attualmente ancora da standardizzare, sarà disponibile si potrà in qualche modo individuare tra i soggetti a rischio chi ha iniziato ad avere il processo neurodegenerativo e dovrà essere sottoposto alle ulteriori indagini diagnostiche.
Quali sono i benefici indotti da una diagnosi precoce?
“Anche in questo caso occorre combattere e rimuovere qualsiasi atteggiamento di tipo fatalista e pensare solo a come intervenire. Con i farmaci attualmente a disposizione, come sappiamo tutti, non possiamo curare la malattia in quanto tale, ma sicuramente rallentare il progredire del danno cognitivo, riducendo i sintomi, tanto più se la loro somministrazione è la naturale e tempestiva conseguenza di una diagnosi precoce”
Prevenire è dunque possibile?
“Oggi sappiamo che i soggetti potenzialmente predisposti, se praticano la prevenzione, oggi convenzionalmente ancorata a 14 fattori di rischio predeterminati, possono procrastinare l’insorgere della malattia anche di molti anni allungando il periodo di vecchiaia in salute. A livello di popolazione, l’applicazione di politiche di interventi di prevenzione potrebbe ridurre l’incidenza annua della malattia di Alzheimer sino al quaranta per cento”.
Quali sono i fattori di rischio scelti come riferimento?
“I 14 fattori di rischio, pubblicati su Lancet nel 2024, sono riferiti a varie fasi della vita, da quella giovanile a quelle della maturità e della senilità. Comprendono la bassa scolarità, la sordità, l’ipovisione, l’obesità e al sedentarietà e tutti i noti fattori di danno vascolare come diabete, ipertensione e ipercolesterolemia. Vanno affrontati e combattuti, uno a uno, per rallentare e persino ridurre l’incidenza della malattia”.
Il futuro può regalarci un farmaco capace di aggredire alla radice la demenza senile e l’Alzheimer? I malati, le loro famiglie e tutti noi, potenzialmente minacciati, siamo da sempre in attesa del miracolo…
“Non sarà un miracolo. E i farmaci non saranno per tutti ma solo per quei soggetti in cui potremo prevedere una certa efficacia e un basso rischio di effetti collaterali. La ricerca scientifica sta per metterci a disposizione tutta una serie di prospettive farmacologiche di estremo interesse. Quelle in uno stato più avanzato si basano su una o più tipologie di farmaci antiamiloide, che sono già stati approvati in vari Paesi del mondo e sono in corso di valutazione anche da parte dell’EMA, l’ente regolatorio europeo dell’efficacia del farmaco. Il dibattito all’ordine del giorno concerne la valutazione comparativa dei benefici e dei rischi collegati ai nuovi farmaci, che speriamo siano immessi sul mercato e resi, quindi, disponibili, entro la fine dell’anno in corso o, nella peggiore delle ipotesi, nel successivo”.
Quali orizzonti si apriranno non appena questi nuovi farmaci saranno concretamente prescrivibili?
“Rappresentano una prima grande speranza perché sono capaci di pulire il cervello dalla presenza di placche di beta amiloide con una risposta clinica di riduzione o blocco della malattia in una percentuale di pazienti, valutabile intorno al 30%. Non saranno, per loro natura, desinati a tutti, ma solo a quei pazienti che hanno le caratteristiche biologiche necessarie per assumerli con un potenziale effetto benefico”.
Ma oltre questi farmaci, per chi non sarà candidabile o per il 70% che non risponde alla terapia si intravedono all’orizzonte anche altre tipologie di farmaco somministrabile.
“Fortunatamente sì, anche se la prudenza è d’obbligo. Si sta delineando, seppure con tempistiche meno immediate, un’altra serie di farmaci, che andrebbero ad agire su altre proteine della neurodegenerazione, come la proteina Tau, sui meccanismi del metabolismo cerebrale e della neuroinfiammazione cerebrale”.
Quanto tempo dovremo aspettare per questi ulteriori farmaci capaci, se capisco bene, di riscrivere la storia di una malattia degenerativa, che annienta inesorabilmente la memoria di sé e di una vita intera?
“Non sarà domani e, forse, neppure dopodomani, ma mai come in questo periodo si intravedono delle prospettive di cura per cui il tempo di attesa sarà di pochi anni e non decenni”.
I farmaci di prossima generazione potranno combinarsi fra loro e interagire verso un’unica direzione?
“Sì, il futuro sarà con ogni probabilità segnato da un insieme di farmaci che agiscono a più livelli del processo neuropatologico: la patologia amiloidea, la Tau, la neuroinfiammazione, i meccanismi di ossido riduzione e la neuroprotezione. Il paziente del prossimo futuro sarà trattato a più livelli e su più target terapeutici e in modo personalizzato al suo profilo biologico. Il futuro prossimo venturo è, possiamo dirlo a ragion veduta, stracolmo di nuove, straordinarie e giustificate speranze”.