Intervista esclusiva di Antonello Sette a Nicola Felici, Direttore UOC Chirurgia Ricostruttiva degli Arti – Centro Regionale Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini

Dottor Felici, il San Camillo è uno degli ospedali italiani all’avanguardia nella chirurgia dei reimpianti degli arti, a partire dalla mano. Come siete organizzativi per far fronte a richieste e necessità, che si manifestano evidentemente all’improvviso…

“Siamo un centro regionale di riferimento per i traumi complessi degli arti. Esiste nella Regione Lazio un’organizzazione strutturata in reti, al fine di garantire una pronta e certa assistenza, H24, 365 giorni all’anno, al momento e nel posto giusti. Le competenze per affrontare nel migliore dei modi possibili un trauma complesso di un arto, amputazione o subamputazione di una mano o di un dito, non sono reperibili in tutti gli ospedali che, oltretutto, devono comunque essere di secondo livello, con al loro interno tutte le discipline specialistiche. La conditio sine qua non è la presenza in organico di esperti in chirurgia ricostruttiva e microchirurgia, ovvero la tecnica che consente di riattaccare nervi e arterie con uno strumentario dedicato, denominato, per l’appunto, strumentario microchirurgico, con la possibilità di vedere al microscopio anche segmenti molto piccoli, considerando che ci troviamo di fronte non solo ad amputazioni delle mani e delle braccia, ma, ad esempio, anche della falange del pollice, che è altrettanto importante per la funzione naturale di presa e di pinza della mano”.

Tornando all’organizzazione regionale, come è articolata?

“La rete di chirurgia della mano e dei traumi complessi degli arti è coordinata dal 118 e fa capo a tre strutture distinte: il San Camillo, il Policlinico Gemelli e il CTO, che si dividono fra loro l’incombenza con turni settimanali. Per farle un esempio concreto, nella settimana in corso, se un operaio perde una mano a Latina, il 118 regionale sa che deve portarlo direttamente al San Camillo, bypassando la trafila tradizionale: pronto soccorso più vicini, dirottamenti, in caso di indisponibilità di posti letto o di mancanza di competenze specifiche. La nostra è una rete tempo dipendente. Il tempo è la variabile più importante, perché un arto non può rimanere devascolarizzato per troppe ore, pena l’impossibilità del reimpianto”.

Tempestività a parte, quante sono le probabilità di riuscita?

“È impossibile parlare di percentuali di riuscita in termini assoluti, perché le variabili sono tante e tutte, per un verso o per l’altro, determinanti. La prima variabile è la tipologia del trauma, a seconda che sia da taglio netto, da schiacciamento, da strappamento o da scoppio. La mano che salta in aria per un petardo durante la notte di Capodanno è molto difficile da reimpiantare, perché le dita sono esplose, avulse, bruciate. Il reimpianto di una mano amputata con un taglio netto è, invece, molto meno problematico e avrà conseguentemente maggiori probabilità di successo. Passiamo da percentuali di riuscita del cinque, massimo dieci per cento nei casi di scoppio al sessanta, anche settanta, nei reimpianti di sezioni più nette”.

Ci sono alternative chirurgiche, per così dire di riserva, qualora il reimpianto dell’arto amputato non sia praticabile o l’intervento tradizionale non consegua l’esito auspicato?

“Non tutto è perduto e noi non ci arrendiamo. Quando non è possibile reimpiantare un segmento arrivato in condizioni tali da mortificare ogni tentativo, proponiamo al paziente un intervento di chirurgia ricostruttiva. Per farle un esempio concreto, non lasciamo nessuno senza pollice. Senza il dito indice si può vivere e lavorare normalmente, anche laddove entra direttamente in gioco la manualità. Senza il pollice, invece, non si può fare praticamente nulla, perché non si può contare sull’indispensabile presa. Esistono tecniche microchirurgiche, disponibili solo in pochissimi centri, fra cui quello che dirigo, che sono in grado di ricostruire, d’amblée e per intero, il pollice con le medesime sensibilità e funzionalità di quello originario. Una delle tecniche più semplici consiste nel trasferimento dell’indice al posto del pollice, lasciando una mano con 4 dita, ma con un pollice opponibile. È quella che viene chiamata la pollicizzazione dell’indice. Un’altra tecnica ricostruttiva più sofisticata prevede, invece, la permanenza di una mano con cinque dita, trapiantando, al posto del pollice mancante, un dito, in genere l’alluce del piede. In quest’ultimo caso, l’alluce del piede da trapiantare non viene amputato interamente, ma solo microchirurgicamente ridotto, in modo da adattarlo alla forma e alla dimensione del pollice della mano. È una tecnica, che può essere proposta e utilizzata, con risultati più che soddisfacenti, da subito, nel caso l’arto non sia stato ritrovato o non sia, per svariati motivi, reimpiantabile”.

Ho un’ultima curiosità. Siete fermi a 30 anni fa o si sono compiuti progressi significativi nelle procedure e nelle tecniche utilizzate?

“Si sono fatti progressi importanti, soprattutto nelle tecniche ricostruttive e nel trattamento di segmenti molto distali, grazie a interventi di quella che viene chiamata supermicrochirurgia. Gli strumenti oggi disponibili permettono di reimpiantare con successo, qualora siano compresenti tutte le precondizioni necessarie, anche segmenti di dimensioni piccolissime, ad occhio nudo quasi del tutto impercettibili; l’ultima novità è la robotizzazione della tecnica microchirurgica. È stato prodotto un Robot che mette in condizione il chirurgo di minimizzare le percentuali di errore e di sfruttare capacità di snodo del braccio robotico che la mano non possiede. Dalla prossima settimana lo avrà a disposizione l’Unità operativa da me diretta. Saremo il primo reparto ospedaliero di Chirurgia Plastica in Italia ad aver acquistato questo Robot e a utilizzarlo per le urgenze microchirurgice e per gli interventi di microchirurgia ricostruttiva dei vari distretti corporei, compresi quelli di ricostruzione del plesso brachiale nelle paralisi traumatiche dell’arto superiore ”.

SaluteIn

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